
“Da Altamura in poi tutto è decadenza” diceva Pablo Picasso proiettando su questi dipinti il gusto e i canoni estetici di noi moderni, ma suggerendo al tempo stesso come l’esigenza che muoveva i cacciatori e raccoglitori del paleolitico e mesolitico, così come gli agricoltori e allevatori del neolitico fosse la stessa che muove gli uomini di ogni tempo, un’esigenza che non ha nulla di utilitaristico, bensì tutto di simbolico, interpretativo, culturale.
Realisticamente non possiamo pensare che i valori estetici che guidano noi oggi siano i medesimi dei cacciatori preistorici (non sono neppure gli stessi di Picasso) e con altrettanta convinzione possiamo dire che per gli uomini preistorici i valori estetici non erano i valori essenziali che ispirarono le loro creazioni, esse infatti furono realizzate in cavità profonde, talvolta quasi inaccessibili e difficilmente fruibili.

Questi uomini erano quindi mossi da esigenze diverse, presumibilmente magico – religiose e l’esigenza magico-religiosa, sia essa propiziatoria o metafisica, presuppone una concezione del mondo. Diventa così necessario comprendere se nell’arte paleolitica c’è la volontà di lasciare traccia di una certa concezione del mondo.

Come si può ragionevolmente presumere questo? Innanzitutto partendo proprio dal concetto stesso di arte come “espressione formale non utilitaristica ma simbolica per mezzo della quale sia stata lasciata una traccia durevole nel mondo”. L’arte quindi come linguaggio che utilizza e produce simboli, differenziandosi per i segni che utilizza: linee, colori, volumi, e per la sintassi che li regola.
Nel Novecento innumerevoli studiosi hanno catalogato, contato, raggruppato per soggetti, per temi le figure, i segni che compaiono nelle grotte, sulle volte dimostrando come queste pitture non fossero espressioni spontanee, casuali e destrutturate. Leroi-Gourhan ha dimostrato come “l’organizzazione topografica e la distribuzione di animali sulle pareti e volte non costituisca un insieme casuale e amorfo ma al contrario risponde a un pensiero mitologico e cosmogonico”. Georges e Souvet hanno dimostrato l’importanza della ricorsività di immagini da un punto di vista geografico e cronologico. Delporte ha dimostrato come non vi sia corrispondenza tra animale cacciato, consumato e frequenza di raffigurazione. Tutti questi studi dimostrano come vi sia in questi primi uomini la volontà di organizzare e strutturare un “discorso” su una realtà altra, più grande, misteriosa, figurabile attraverso gli oggetti più dirompenti nella loro esistenza, i grandi animali.

Fare arte è un aspetto caratteristico dell’uomo di ogni tempo ed esigenza essenziale della condizione umana. Non solo, l’origine del fare arte è innanzitutto un’esigenza religiosa “L’arte parla sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio” (J. Ratzinger).